In due giorni due notizie che si contrappongono e che rivelano, se ancora ne fosse il caso, tutte le contraddizioni di un Paese che ha perso la rotta e, spesso, anche il buon senso. E’ di ieri l’avvio della raccolta di firme promossa da Mei ed Audiocoop con l’obiettivo di convincere i dirigenti delle reti Rai e Mediaset a mandare in onda almeno il 40 per cento di musica italiana, sulla totalità della diffusione musicale quotidiana, quando ecco giungere la notizia della chiusura del programma “Demo” di RadioUno Rai condotto da Michael Pergolani e Renato Marengo. Come dire che se da una parte c’è chi fa di tutto per valorizzare i nostri autori, i nostri interpreti, i nostri musicisti emergenti, creando spazi che almeno in parte vadano a contrastare lo strapotere delle major, dall’altra c’è chi decide che gli stessi autori, gli stessi interpreti, gli stessi musicisti emergenti non siano degni neppure di quel piccolo spazio serale che “Demo” concedeva loro, una manciata di minuti dopo le 23. Scelte di questo tipo rivelano semplicemente come, chi è chiamato ad occuparsi dei palinsesti, non abbia la neppur minima idea di quale patrimonio rappresenti, ormai da diversi anni, nel nostro Paese, la musica indipendente. E c’è da sperare che sia solo un problema di ignoranza, poiché, diversamente, si dovrebbe pensare a qualcosa di peggio, alimentando le più cupe dietrologie. Ho personalmente conosciuto Michael Pergolani e Renato Marengo, ci ho avuto a che fare, non sempre li ho condivisi, abbiamo talvolta discusso, anche litigato. Ma che ad un certo punto i loro microfoni fossero gli unici dell’emittenza pubblica attraverso i quali passava il meglio della musica indipendente italiana, è un fatto inconfutabile. Tanti ragazzi hanno trovato in “Demo” una voce che diversamente non avrebbero avuto, per alcuni di loro è stato un approdo importante, per altri un riconoscimento momentaneo, ma gratificante. La decisione di cancellare “Demo” dai palinsesti radiofonici della Rai getta ombre lunghissime sulle possibilità di successo che potrà sperare di avere la petizione di Mei ed Audiocoop, perchè la decisione di affondare una trasmissione come quella, rivela una palese volontà di continuare a non considerare la musica indipendente come un patrimonio al quale attingere nel nome dell’arte. Spalancando ulteriormente le porte alle speculazioni di major e talent show, ove i ragazzi vengono usati, i loro sogni vengono strumentalizzati e l’unico musica ben accetta è da sempre (e rimarrà probabilmente per sempre) quella del frusciar di banconote.